San Francesco di Foza

 

 Chiesetta di San Francesco

 

      LA STORIA DELLA CHIESETTA

'Sul colle della croce, in vista di tutto il paese, sorge la chiesetta dedicata al Poverello d'Assisi. Questo luogo fu meta di pellegrinaggi e un tempo fu l'unica chiesa indulgenziata della Porziuncola. Ricorda le Feste Quinquennali iniziate nel 1836; ricorda processioni di penitenze, ore di letizie, di pianto. E per voi gitanti, per voi turisti non ricorda quest'eremo la passeggiata più bella, la vista più deliziosa della pianura veneta?' (Foza Risorta, Numero Unico, 5 settembre 1926).  

     La chiesetta di San Francesco domina oggi il punto più alto (1129 metri s.l.m) del promontorio sul quale si snoda il centro del Comune di Foza, uno dei Sette Comuni della Spettabile Reggenza. Venne ricostruita nel luogo dove ora si trova nel primo dopoguerra, dopo un confronto circa la scelta del luogo tra coloro che la volevano nell'antico sito al limitare del monte dominante la Valsugana, ed il parroco don Antonio Costa, che la volle invece nell'attuale posizione dominante sul paese, nello spazio dove prima della guerra stava un'antica croce denominata 'Croce di San Francesco'. L'11 giugno del 1925, Festa del Corpus Domini,  dopo un alterco tra due persone della Contrada Pubel che la volevano dove stava e un fabbriciere, alla sera una decina di fozesi andò in Canonica a protestare per il nuovo posto, ritenuto che fosse poco adatto non solo per rispetto della tradizione secolare, ma anche perchè troppo esposto alle intemperie. Il 15 giugno furono poi portate in Canonica un centinaio di firme contro la nuova posizione, così i fabbricieri fecero il giro del paese per chiedere ai capifamiglia: 73 la volevano nel posto antico, 54 nel posto nuovo, 42 si dichiararono indifferenti, per cui il Parroco aggiunse questi a coloro che la volevano nell'attuale sito, e così fu deciso, anche se permase il contrasto, tanto che i cantori per lunghi mesi si rifiutarono di cantare in Chiesa. Don Costa chiese dunque l'area necessaria a Francesco Rodeghiero 'Runz' (1881-1967), impresario di Asiago impegnato nella ricostruzione post-bellica, in particolare delle carrozzabili Asiago-Foza e Foza-Marcesina, che nel 1922 aveva acquistato circa 40 ettari di prato, pascolo e bosco sul colle di San Francesco, il quale cedette il terreno dove oggi è costruita la chiesetta, anche se poi non venne mai concluso l'atto notarile. Francesco Rodeghiero provvide anche a ricostruire l'ultima casa prima della salita che porta all'oratorio, ponendola sul lato est della strada invece che su quello ovest, dove stava prima: la vecchia casa distrutta dalla guerra era quella dove nel novembre del 1916 venne portato per proteggerlo il corpo di San Modesto, per iniziativa del capitano Egidio Fracassi che lo aveva prelevato dal Duomo di Asiago bersagliato continuamente dalle artiglierie, urna che successivamente fu trasportata presso il Vescovo di Padova.

      La nuova chiesetta fu progettata dall'architetto ferrarese Annibale Zucchini e portata a compimento dalla ditta Omizzolo Domenico di Foza, e la prima pietra venne posta il 17 luglio del 1925 nell'angolo a destra di chi entra, la prima sopra la risega, insieme da una pergamena che accenna alla questione del sito e al nome dell'impresario, però senza le monete e le medaglie consuete. L'altarino in marmo venne costruito dalla ditta Fratelli G.e G. Donazzan di Pove (Vi), e la campana maggiore, dedicata a San Francesco (180 kg, nota Mi), è opera dalla fonderia Colbacchini di Bassano del Grappa (Vi).

     Il primo oratorio dedicato a San Francesco era stato originariamente eretto più avanti, sul luogo dove attualmente sorge una croce, proprio al limitare del colle, dove la vista spazia sulla Valle del Brenta e sulla pianura veneta, sino alla laguna di Venezia e alla stessa basilica di San Marco nelle giornate serene. Luogo di pellegrinaggi e di preghiera, nonché di grazie ottenute per l'intercessione del Santo dell'amore e della povertà, il 14 settembre 1641 la Comunità di Foza rivolse una istanza al Vescovo di Padova per ottenere licenza per celebrarvi la S.Messa, richiesta che fu prontamente accolta e per la prima volta vi venne celebrata esattamente il 24 ottobre 1641. Quattro anni dopo, nel 1645, vi fu costruita accanto una cella per l'eremita fra Bastian Galasin, del Terzo Ordine Francescano, diventando così il primo, e per alcuni secoli l'unico, eremo dell'Altopiano: solo nel 1829 venne costruito un altro eremo ma sempre da un eremita di San Francesco, fra Battista Casera, quando, al ritorno da un pellegrinaggio alla Madonna di Caravaggio (Bg), questi venne bloccato al Buso di Gallio dalle intemperie.

croce_san_francesco

     Nel 1647 il delegato del Vescovo, l'arciprete di Asiago don Giuseppe Viero, venne a benedire la chiesetta ed il romitorio; nel settembre dello stesso anno il vescovo di Padova Giorgio Corner, a Foza per la Visita Pastorale, venne invitato dalla popolazione a visitare il nuovo oratorio, gesto che poi compiranno tutti i Vescovi saliti a Foza dopo di lui. A sua volta l'eremita, una volta all'anno, si recava a piedi da Foza a Padova, per chiedere al Vescovo la conferma del suo servizio religioso e liturgico. Nel 1658 circa, a fra Bastiano Galasino succedette fra Giambattista Stona, al quale si unì anche il fratello fra Cristiano di Tommaso, i quali nel 1664 ricevettero la visita del Vescovo di Padova, poi proclamato santo, Gregorio Barbarigo; a loro subentreranno fra Claudiano da Feltre (1663), fra Antonio Lazzari (1671), fra Gaspero Marcolongo (1683), fra Francesco Salesi e fra Roberto Zanella (1710), e quindi fra Antonio Negri da Venezia (1733 circa). Nel 1738 il Comune ristrutturò la chiesetta, arricchendola di una sacrestia e di un campanile con una campanella per la messa e l'Ave Maria della sera.

     Successivamente furono presenti fra Valentino Lunardi di Foza (1744), fra Francesco Solari (1750), fra Bartolomeo Tescari del Terz'ordine di Sant'Agostino, di Lusiana (1763), fra Giobatta Menegatti e fra Battista Casera (prima metà dell'Ottocento); nel giugno del 1804 la chiesetta fu visitata dall'arciduca Giovanni d'Austria, fratello dell'Imperatore, accompagnato dal parroco don Beniamino Bertizzolo.

     In questo torno di anni, precisamente nel 1836, la comunità di Foza, quale segno di riconoscenza per essere scampata alla diffusione del colera che infieriva in tutto il Veneto, promise di ringraziare la patrona del paese Santa Maria Assunta  portando ogni cinque anni la sua statua dalla chiesa parrocchiale sino all'oratorio di San Francesco, voto che fu sciolto per la prima volta il 10 settembre 1837.

     Nelle relazioni delle visite vescovili successive, troviamo che il 4 agosto 1861 il vescovo Federico Manfredini, in visita pastorale a Foza, benedisse una campanella destinata al campanile di San Francesco, e nel 1888, in occasione della visita del vescovo Giuseppe Callegari, il cerimoniere rilevò la presenza di una nuova statua del Santo in legno posta sull'altare.

     In seguito troviamo presenti a San Francesco fra Girolamo Lazzarotto da Valstagna (1890-1892) e fra Davide Trotto da Conco (1894-1916). 

     Nel 1902 un incendio distrusse il romitorio, che venne subito riedificato, ricostruendolo però in un piccolo spiazzo sottostante la chiesa, edificio i cui muri perimetrali sono ancor oggi visibili al di sotto dell'attuale croce, scendendo dal bosco sulla destra.

     L'attuale croce in larice, alta circa 5 metri, venne eretta dopo la Grande Guerra e benedetta il 3 maggio 1928, festa liturgica del Rinvenimento della Croce, sul luogo dove un tempo stava l'antica chiesetta.

 Flavio Rodeghiero

     LA FLORA DI SAN FRANCESCO

Valle del brenta

     La località di San Francesco è caratterizzata da diversi ambienti naturali che ben rappresentano la ricca varietà della flora dell'Altipiano. Nelle rare superfici pianeggianti e nei pendii qui molto pronunciati, sono presenti aree di tipo boschivo e aree adibite oggi a pascolo bovino ed equino, un tempo soprattutto ovino e caprino, o a prato da fieno.

     E' da notare l'importante presenza di alcune pozze di acqua utilizzata per il rifornimento idrico animale, le quali creano un ulteriore habitat naturale. Una caratteristica comune a tutte le Prealpi Orientali, ambito nel qual è sito San Francesco, è il bordo meridionale rivestito a faggeta: un tempo il Faggio occupava buona parte delle attuali aree prative o rimboschite in tempi recenti a conifere. Al faggio è spesso accompagnato l'Abete Rosso, il Frassino maggiore, l'Acero di monte, il Sorbo degli uccellatori, e sporadicamente l'Abete bianco, il Tasso, il Biancospino, il Ginepro, il Carpino nero, la Betulla e alcune altre specie tra le quali quelle dei salici.

     Molto più varia ed interessante è la vegetazione tra le piante erbacee: i prati, noti come brometi, dal nome della graminacea più caratteristica e dominante, il Bromo dei prati, sono ricchi di specie sia steppiche che mediterranee. A seconda del terreno, dell'esposizione al sole e della vicinanza del bosco, sono presenti e ben visibili soprattutto durante la fioritura, molte specie, quali il Giglio rosso o Giglio di San Giovanni (Lilium bulbiferum L.), la Cresta di gallo (gen. Rinanthus), la Margheritona (Leucanthemum vulgare L.), la Primula (Primula veris L.), il Croco, la Polmonaria, il Ciclamino, la Salvia dei prati, e vari rappresentanti delle famiglie delle ombrellifere, delle labiate e dei generi Trifolium, Vicia, Euphorbia, Ranunculus, Geranium, Gentiana, Cirsium, ...

     Sono facilmente reperibili ai  bordi dei boschi o lungo i sentieri le piante di lamponi e di fragole di bosco dai piccoli e succulenti frutti; nelle zone più ombrose e umide si incontrano innumerevoli felci, muschi e piante tipiche del sottobosco.

     San Francesco dal punto di vista agronomico ha caratteristiche uniche, tanto che la Facoltà di Agraria e Farmacia dell'Università di Padova ha qui riconosciuto un luogo di studio e di osservazione: sono da ricordare per i loro utilizzi nei settori aromatico, alimentare ed officinale, importanti piante, estremamente riconoscibili, come l'Alchemilla, l'Achillea, la Barba di becco, la Bardana, il Buon Enrico, la Fanfara, l'Iperico, la Piantaggine, la Rosa canina, il Tarassaco, il Timo, la Valeriana, il Verbasco.

 Flavio Rodeghiero

 

 

      LA FAUNA DI SAN FRANCESCO

Volpe

     Anche la fauna di San Francesco è pienamente rappresentativa degli abitanti dei boschi dell'Altipiano. Per averne un'idea esatta bisognerebbe entrare nel bosco prima delle luci dell'alba. Appena l'orizzonte incomincia a farsi rosa si sente per primo il cinguettio dello Scricciolo, seguito a ruota dal Pettirosso con il suo canto monotono, ma è il Merlo a dare il via al concerto di benvenuto del nuovo giorno, con il suo canto primaverile forte  e melodioso. Si cominciano a sentire quindi dei leggeri fruscii di passi sulle foglie secche di qualche piccolo animale, degli Scoiattoli in particolare, o di qualche Faina che rientra dalla caccia notturna. Se si è fortunati si possono vedere i Caprioli e i Cervi che brucano gli ultimi ciuffi di erba prima di rientrare nel fitto bosco al riparo da sguardi indiscreti. La Lepre comune è già andata a dormire, come pure la Volpe.  Camminando poi per i sentieri in mezzo agli alberi può capitare di essere spaventati dal repentino potente sbattere d'ali di un Gallo Cedrone che spicca il volo dal ramo di un abete sopra la nostra testa, o dall'improvvisa partenza di un Fagiano di Monte, 'Gallo Forcello', il quale, disturbato, lascia il suo nido sotto un piccolo abete. Portandosi poi verso le rocce di San Francesco che strapiombano sulla Val Frenzela, può capitare di imbattersi in una covata di Cotornici o Starne, che partono a volo radente e si buttano verso valle, e da qui si possono pure ammirare le acrobazie dei Rondoni Alpini, che sfrecciano sibilando come avessero il motore, tanta è la loro velocità. Ma la più interessante unicità di San Francesco è la possibilità di osservare in volo, con la loro stupefacente e maestosa apertura alare, una delle rare coppie di Aquile dell'Altipiano che qui, sugli speroni di roccia che danno sulla valle, hanno da tempo nidificato.

Aquila Reale

Guardando tra gli alti abeti si possono scorgere tra i rami nidi di varie specie di volatili, del Tordo Botacchio, con le pareti interne del nido 'smaltate', o del Tordo Sassello, più raramente quello della Cesena; il Crociere ha già nidificato; impossibile da non vedere è però il nido della Cornacchia o del Corvo, tanto è grande.

     Dai rami bassi di qualche abete compare, appeso, il nido a forma di pera della Cincia Bigia Alpestre o della Cincia Gallica. Ogni tanto si ode il canto del Cuculo che ha deposto il suo uovo nel nido di un Codirosso Spazzacamino. Nei bassi e fitti cespugli nidifica il Merlo, e un poco più in alto, tra le forcelle formate dai rami dei faggi, troviamo i nidi del Fringuello o del Verdone in compagnia del Cardellino, più raramente quello del Frosone e del Ciuffolotto. Camminando invece tra i prati si può improvvisamente indietreggiare per il repentino alzarsi in volo dal loro nido della Quaglia o dell'Allodola, impaurite dai nostri passi; più silenziosa nel lasciarlo è invece la Pispola. Guardando attentamente il prato si notano le tracce del passaggio del Tasso, che lascia dei buchi quasi rotondi e del diametro di circa 10 centimetri, più marcato e devastante è invece il passaggio segnato dal Cinghiale, da poco immesso nel territorio, il quale lascia le zolle di terra rovesciate anche per decine di metri quadrati di terreno. Nei buchi di vecchi muri a seccoo negli anfratti di roccia, nidifica il Culbianco e la Ballerina Gialla, assieme alla Ballerina Bianca e in compagnia del Codirosso. Ascoltando il brusio della natura si intende il picchiettare del Picchio Verde, che cerca le larve sotto la corteccia di qualche abete malato, o del Picchio Nero, che sta scavando il suo nido in un vecchio tronco; gli fa eco da vicino il Picchio Rosso, che sta facendo lo stesso lavoro su un larice secco ma ancora in piedi.

A tratti, la calma e il silenzio della natura che segue è rotta dal gracchiare acido della Gazza Ghiandaia che, spaventata, cambia sito. I più fortunati possono incontrare l'Upupa, un magnifico uccello grande quanto una gallina peppola, con il caratteristico ciuffo sulla testa e dalle piume vivacemente colorate. Quando improvvisamente tutta la natura tace! Allora bisogna guardare il cileo, perché sicurarmente sta volteggiando un Astore in cerca di una preda per sfamare la sua nidiata o una Poiana a caccia del suo pranzo giornaliero.

 Francesco Valerio Rodeghiero

 

     SAN FRANCESCO NELLA GRANDE GUERRA 1915-18

Assalto

     Dopo l'arresto dell'offensiva austriaca del maggio-giugno 1916 (definita dalla stampa 'Strafexpedition', cioè 'Spedizione punitiva', più correttamente invece da chiamarsi 'Frühjahrsoffensive', come la definirono i comandi austriaci, ossia 'Offensiva di Primavera', o Südtiroloffensive, cioe 'Offensiva del tirolo Meridionale'), sulle montagne sovrastanti l'abitato di Foza (le Melette di Foza) ed il successivo ripiegamento delle truppe imperiali sulla linea Val d'Assa - Monte Zebio - Monte Ortigara, Foza divenne un importante centro logistico del XXII Corpo d'armata Italiano. Collegata  a Valstagna  e alla adiacente stazione ferroviaria di Carpanè da una teleferica che partiva dalla Val Vecchia per arrivare alla Croce di San Francesco - Pubel, realizzata già nel corso dell'estate 1916, a partire dalla primavera dell'anno sucessivo iniziarono i lavori per la costruzione da parte di reparti del genio dell'importante rotabile Valstagna - Val Vecchia - Foza (l'attuale strada provinciale) cui seguirono quelli  della strada Lazzaretti - Marcesina (con la diramazione per malga Lora) e della teleferica che risaliva le pendici meridionali del Monte Miela fino ai pressi della malga Meletta. E proprio in considerazione della sua particolare localizzazione in posizione 'ben riparata pur non esssendo lontana dalle truppe...', nella prevista riorganizzazione dei servizi della 6^ Armata dell'agosto 1917 Foza veniva indicata, unitamente a Marostica, come Centro Servizi di Divisione del XXII Corpo, con la previsione di impiantare depositi e stabilimenti oltre ad un reparto di sanità con 'carattere di stabilita'.

     Gli avvenimenti precipitarono tuttavia nell'ottobre del 1917 quando, a seguito della rotta di Caporetto, iniziò anche sull'Altopiano il ripiegamento delle truppe italiane per allineare il fronte a quello del Grappa. Sotto l'impeto offensivo delle Divisioni austriache del Gruppo Kletter, dopo furiosi combattimenti la mattina del 5 dicembre, con l'accentuarsi della pressione austriaca dal monte Spil al monte Miela, i comandi italiani ordinarono il ripiegamento delle truppe del XX Corpo d'Armata sulla linea Stoccareddo - Croce di San Francesco - Sasso Rosso: ripiegamento che venne effettuato combattendo ed arginando la forte pressione austriaca che, nella notte sul 6 dicembre, riuscì a circondare  e catturare tre compagnie rimaste a protezione del monte Zomo.

     Le truppe della 18^ Divisione austriaca si attestarono sulla sommità della Croce di San Francesco e del Sasso Rosso, costringendo i reparti italiani della 52^ Divisione (XX° Corpo d'Armata) ad organizzare la linea di prima resistenza lungo le ripide pendici rocciose e sassose strapiombanti verso le vallate sottostanti. Il 18 dicembre un colpo di mano di arditi italiani riuscì ad occupare la dorsale rocciosa del monte Cornone portandosi sotto le posizioni austriache dl Sasso Rosso.

     In occasione dell'azione offensiva del 27 e 28 gennaio 1918 contro i Tre Monti (Val Bella, Col del Rosso, Col d'Ecchele), in confromità alle disposizioni emanate dal Comandante della I Armata, ten. gen. Pecori Giraldi, che aveva stabilito, tra l'altro, "lo sviluppo di azioni sussidiarie, contemporaneamente all'attacco principale, sui costoni di sinistra di Val Frenzela (Croce San Francesco - Sasso Rosso) per disorientare ulteriormente gli austriaci e quanto meno disturbare l'attività delle artiglierie in posizione nei loro anfratti", reparti alpini della 52^ Divisione (elementi dei battaglioni Sette Comuni, Val d'Adige e Monte Berico) alle 3,30 della notte sul 28 si inerpicarono sui roccioni meridionali di Croce San Francesco e riuscirono ad avanzare sin quasi alla croce catturando prigionieri ed armi. Contrattaccati in forze furono però costretti a fermarsi e poi a ripiegare.

     Il 10 febbraio, tuttavia, nonostante la strenua difesa degli alpini del Battaglione Vicenza, gli austriaci rioccuparono le linee avanzate dal Cornone.

     Nel marzo successivo forti pattuglie austriache eseguirono due attacchi nel settore del XX Corpo d'Armata italiano: il primo, la notte sul 2, contro le posizioni italiane verso Croce San Francesco, che fu presto respinto dal fuoco della artiglierie italiane; il secondo, al mattino del 21, contro i posti avanzati sulle pendici meridionali del Cornone, che portò alla temporanea occupazione di qualche elemento difensivo ma che venne subito respinto dal contrattacco dei reparti alpini. 

     Dopo un periodo di relativa calma, il 15 giugno 1918 il Comando Supremo Austriaco decise di tentare l'ultima grande offensiva su tutto il fronte (la cosiddetta Battaglia del Solstizio). Nel settore compreso tra il Buso e la Val Gadena gli austriaci schieravano la 26^ Divisione Schutzen (appartanenente al VI Corpo d'Armata) alla quale si contrapponevano la 10^ Divisione a sinistra (costone occidentale del Brenta) e la 2^ Divisione a destra (costone est del Brenta), del XX Corpo d'Armata Italiano, ciascuna, però, con una sola brigata in 1^ linea (rispettivamente: I Bersaglieri e Livorno), essendo l'altra (rispettivamente: Toscana e Regina) scaglionata in profondità tra Valstagna, Campese e Valrovina. La I Brigata Bersaglieri, in particolare. era letteralmente aggrappata ai roccioni di Val Frenzela e all'orlo di Foza, alle estremità degli speroni di Croce San Francesco (q.1129) e Sasso Rosso (q.1196) dominati dalle posizioni austriache delle Badenecche. La Brigata Livorno presidiava invece gli sbarramenti del Canale del Brenta. L'artiglieria, gravitante nella parte orientale del setttore, era articolata in due complessi con compito principale l'azione di controbatterla nella zona di Foza.

     Alle ore 3 del mattino del 15 giugno, batterie austriache di ogni calibro aprirono contemporaneamente un fuoco tambureggiante tanto sulle posizioni difensive quanto su quelle retrostanti in fondo Val Brenta. I tiri di interdizione si estero man mano sino allo sbocco in piano del Canale del Brenta ed alla zona di Valrovina, aumentando costantemente di intensità. Tutte le artiglierie del XX Corpo d'Armata entrarono subito in azione, effettuando con grande violenza tiri prestabiliti di contropreparazione. Verso le 4 il fuoco austriaco assunse prevalentemente carattere di interdizione sulle immediate retrovie dello schieramento italiano: furono ripetutamebte colpiti, anche con proiettili lacrimogeni, gli abitati di Oliero, Valstagna e Carpanè, senza tuttavia arrecare danni notevoli. Verso le 4, nel settore della 10^ Divisione (di sinistra del XX Corpo d'Armata) si ebbero le prime azioni di fanteria austriaca dirette contro Sasso Stefani, in Val Brenta, e lungo l'orlo sud-occidentale di Sasso Rosso. Forti nuclei della 26^ Divisione Schutzen tentarono di sopraffare le difese avanzate nel settore della I^ Brigata Bersaglieri, ma furono tutti contenuti.

     Anche sul Cornone alcuni attacchi consecutivi sviluppati dalla 26^ Divisione Schutzen furono respinti dai bersaglieri della I^ Brigata. Vennero rinnovati in serata, verso le 21, ottenendo successi localizzati con l'occupazione di Rivalta e di Sasso Stefani; un più consistente attacco tendente ad infiltrarsi tra la cengia e la sommità del Cornone fu tuttavia arginato e respinto dai reparti della I^ Brigata Bersaglieri.

     Frequenti attacchi si registrarono durante la notte, all'evidente scopo di forzare la linea di difesa italiana per aprire varchi d'irruzione nel Cornone e sulle pendici occidentali della q.1124 di Croce San Francesco, ma furono tutti respinti dal pronto intervento del fuoco di sbarramento dell'artiglieria, la cui azione proseguì intensa l'indomani, a sostegno delle operazioni svolte dai corpi d'armata laterali. Al mattino del 16, infatti, mentre le artiglierie leggere eseguivano tiri di sbarramento su Sasso Rosso, San Francesco e Val Vecchia per sventare altri continui tentativi di attacci austriaci, le batterie di assedio, con tiri di interdizione e di controbatteria, concorrevano all'azione svolta dal IX Corpo d'Armata (4^ Armata) per la riconquista del Col Moschin e dal XIII Corpo sul Costalunga - Col del Rosso. La situazione nel settore del XX Corpo non subì altre variazioni durante la giornata.

     La notte sul giorno 17 trascorse relativamente calma, tre puntate austriache sul Cornone, in Val Vecchia ed in Val Sasso furono agevolmente contenute.

     L'attività del giorno 18 confermò la sensazione di una ormai definitiva stasi austriaca, che già si era ricavata dai fatti del giorno precedente: si registrò solo la debole e ben localizzata pressione ancora sul Cornone ed in Val Vecchia, ed anche tiri dell'artiglieria avversaria ebbero semplicemente carattere di molestia. Il giorno 29 giugno un'azione di arditi del 78° fanteria (Brigata Toscana) effettuata di sorpresa contro il Cornone ebbe pieno successo, portando alla definitiva rioccupazione delle posizioni sommitali.

Testo tratto da: 'L'esercito italiano nella Grande Guerra 1915-18', Ministero della Difesa, Roma, 1936.

N.B.: Le tracce delle trincee usate in queste battaglie sono ancora ben visibili sia prima che dopo la chiesetta, segni della storia che invitano a riflettere e ad impegnarsi per costruire un mondo di pace, alla sequela delle parole di Francesco d'Assisi: 'pax et bonum', cioè 'pace e bene'.

 

SAN FRANCESCO  NEL SECONDO CONFLITTO MONDIALE

 

 Arrivò fino al Colle di San Francesco anche un'eco della Seconda Guerra Mondiale: il 22 ottobre 1944 Cristiano Rodeghiero (1929-2017), ragazzo appena quindicenne ma esperto dei luoghi, accompagnò Giacomo Omizzolo sul versante ovest di San Francesco, dove il monte declina verso la Val Frenzela, alla ricerca dei corpi di cinque giovani partigiani e due civili uccisi senza processo mercoledì 18, e come si scoperse gettati in una galleria risalente alla Prima guerra mondiale. Una lapide, sul luogo che si trova lungo il sentiero del 'Berkele' che si diparte a nord-ovest, ricorda il luogo e i loro nomi. Autore della strage l'Ost.-Battalion 263, composto da Ucraini, Georgiani e Tedeschi delle Regioni del Volga, ma mai nessun processo fu intentato per condannare esecutori e comandanti.


 

 
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